lunedì 17 agosto 2015

KNOW HOW ANFFAS OSTIA ONLUS - LA LINGUA DEI SEGNI

Investire nella lingua dei segni oggi è un dovere morale e di civiltà. L’Italia insieme al Portogallo e a Malta detiene un triste record: non aver riconosciuto nella Costituzione la LIS, la lingua dei segni. Cosa cambierebbe se ciò avvenisse? Significherebbe riconoscere per legge ciò che oggi è un lusso. Significherebbe avere un telegiornale di trenta minuti e non più di tre, avere interpreti negli uffici pubblici, nei musei, dare al bambino e alla persona sorda la possibilità di comunicare e di inserirsi nel mondo.

La LIS è una lingua a 360 gradi, con regole fonologiche, lessicali, grammaticali e sintattiche. Una lingua complessa, ricca di contenuti e sfumature, con una sua storia, una propria struttura che utilizza l’apparato visivo-gestuale. Non è un linguaggio mimico-gestuale ma una vera e propria lingua dei segni codificati, con declinazioni dialettali, collegate alla storia, alla tradizione del territorio, alla geografia. Non è una lingua universale ma qualcosa che si è sviluppato nazione per nazione, regione per regione. È una lingua che al posto dei fonemi utilizza i cheremi, parametri formazionali per comporre un segno, che siano la configurazione di una mano, un luogo del corpo dove questo segno articolato viene emesso, un verso, un orientamento che assume la mano per produrre un segno o anche la direzione. Tutte queste regole rendono questa lingua assolutamente autorevole.

La mia esperienza professionale mi ha messo in contatto con tante situazioni diverse. 
La differenza non dipende solo dal grado di sordità (media, grave, profonda o cofosi) ma innanzitutto dal fatto che siamo persone e le persone non sono tutte uguali, non pensano allo stesso modo né agiscono in modo omogeneo. Quindi persone tanto diverse fra loro, famiglie diverse a cui bisogna dare risposte diversificate. Da logopedista mi sono trovata e mi trovo a relazionarmi con bambini sordi figli di genitori sordi e bambini sordi figli di genitori udenti e già questo richiede risposte completamente diverse. Ma anche all’interno di queste due “categorie”, se così vogliamo chiamarle, ci sono delle differenze: 

- genitori sordi con bambini sordi che sono a favore della lingua dei segni;  questi bambini saranno  “segnanti naturalmente”  in quanto esposti alla LIS, sin dalla nascita, come lingua materna, detta L1

- genitori sordi che chiedono che  il proprio bambino venga sottoposto ad impianto acustico perché  vogliono comunque che la lingua vocale sia la prima lingua.
- genitori udenti che vogliono venga utilizzata  solo la  lingua orale e  non vogliono sentire parlare di segni
- genitori udenti invece che sono anche a favore di un approccio bilingue quindi lingua orale e lingua dei segni
- genitori che non riescono  ad accettare la lingua dei segni come seconda lingua però acconsentono a  che, nel percorso riabilitativo logopedico del proprio figlio, la lingua vocale sia supportata da segni LIS e  che si utilizzi quindi un  approccio bimodale.

Io seguo un metodo bimodale, quindi un metodo oralista, supportato dai segni della Lingua dei Segni Italiana. Prima di entrare nel merito vorrei dire che io forse ideologicamente propendo per un bilinguismo e questo per il “doppio ruolo” che rivesto, essendo sia logopedista che interprete. 


Come logopedista il mio obiettivo è far sì che i “miei” bambini imparino a parlare italiano, perché è qui che viviamo, perché la società è prevalentemente fatta di udenti. Se io mi trasferissi, per esempio in Inghilterra, sarei costretta per integrarmi nella società, farmi degli amici, trovare un lavoro, ad imparare la lingua del posto cioè l’inglese. Da interprete, studiosa ed appassionata della lingua dei segni, riconosco comunque che la LIS, oltre ad essere una lingua e non un linguaggio, cosa sulla quale siamo credo tutti concordi perché si parla di un codice che si è evoluto nei secoli con una sua storia, le sue regole grammaticali sintattiche, è anche e soprattutto l’espressione della cultura e dell’identità sorda. Come dicevo, io utilizzo il metodo bimodale, cioè un oralismo supportato da segni LIS, segni che però non vengono utilizzati sempre e comunque perché questo è un bimodale “centrato sulla persona”. Cosa significa?

Il metodo bimodale centrato sulla persona è stato ideato dalla dottoressa Piera Massoni, applicando alla logopedia bimodale, un modello elaborato da uno psicologo, il dott. Carl Rogers. I punti principali di questo approccio sono la “non direttività”, l’accettazione positiva ed incondizionata, la creazione di un ambiente facilitante e l‘empatia. Utilizzare questi principi come cardini della terapia logopedica, fa sì che il metodo utilizzato non sia applicato in maniera pedissequa e rigida ma tenga conto non solo delle diverse esigenze del singolo ma anche del particolare momento in cui si interviene.

Ritornando al supporto gestuale, segnico, la frequenza di utilizzo cambia a seconda di chi ho davanti:

- Un bambino con sordità media o grave protesizzato con un buon recupero protesico, avrà una      necessità sempre minore del supporto segnico;
- Un bambino con impianto cocleare, che sfrutta al massimo il suo supporto protesico, potrà anche farne a meno;
- Un bambino con sordità profonda non impiantato, ma con protesi acustica, non avrà mai un recupero della percezione uditiva tale da rendere inutile o superfluo l’uso dei segni. 

Questi sono bambini che, avendo una percezione ridotta, avranno enormi difficoltà ad apprendere la lingua italiana, le regole grammaticali e morfosintattiche. Per esempio il morfema, che definisce genere e numero del nome, si trova alla fine della parola (bambino-a-i-e-).  Con questa tipologia di sordità direi che sarà d’obbligo l’utilizzo del segno bambino più la dattilologia per fargli vedere come cambia il nome a seconda che sia maschile, femminile, singolare o plurale, più la lettura labiale.
Dell’aspetto su cui sto lavorando:

·        Percezione uditiva: NON utilizzo i segni perché lavoro sullo sfruttamento protesico a bocca schermata.
·        Stimolazione fonologica apprendimento dei fonemi: utilizzo un “oralismo illuminato”, vale a dire un supporto gestuale che rappresenta le caratteristiche soprasegmentali della voce e/o le caratteristiche sonore dei fonemi (suono continuo o esplosivo, soffiato, gutturale))
·        Comprensione del testo, arricchimento del patrimonio semantico-lessicale: i bambini con sordità hanno una memoria fonologica e lessicale ridotta e difficoltà ad apprendere e memorizzare parole nuove. L’utilizzo del segno aiuta il processo di memorizzazione della nuova parola dal momento che viene aggiunto un supporto visivo.
·        Comprensione ed espressione dei concetti astratti, come i sentimenti, quando sono ancora piccoli: uso i segni.
·        Stimolazione cognitivo linguistica: il segno e la dattilologia mette in evidenza le differenze fonologiche e di significato delle “coppie minime”, le parole della nostra lingua che differiscono solo per un fonema, distintivo di significato (es Madre-Padre, Basta-Pasta)

Non esiste una ricetta unica che vada bene in maniera assoluta per tutti i casi e tutte le situazioni. La possibilità di avere a disposizione, grazie ai continui studi scientifici che vengono condotti, tanti approcci riabilitativi fa sì che, se si ragiona in un’ottica di terapia centrata sulla persona, è oggi possibile integrare  i vari metodi tra  loro, sulla  base delle esigenze di ciascun  bambino e del particolare momento della terapia, in modo da “cucire” un vestito addosso alla personcina che abbiamo davanti.


a cura di Federica Comandè, esperta Lis

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