Investire nella lingua dei segni oggi è un dovere morale e di civiltà. L’Italia insieme al Portogallo e a Malta detiene un triste record: non aver riconosciuto nella Costituzione la LIS, la lingua dei segni. Cosa cambierebbe se ciò avvenisse? Significherebbe riconoscere per legge ciò che oggi è un lusso. Significherebbe avere un telegiornale di trenta minuti e non più di tre, avere interpreti negli uffici pubblici, nei musei, dare al bambino e alla persona sorda la possibilità di comunicare e di inserirsi nel mondo.
La LIS è una lingua a 360 gradi, con regole fonologiche, lessicali, grammaticali e sintattiche. Una lingua complessa, ricca di contenuti e sfumature, con una sua storia, una propria struttura che utilizza l’apparato visivo-gestuale. Non è un linguaggio mimico-gestuale ma una vera e propria lingua dei segni codificati, con declinazioni dialettali, collegate alla storia, alla tradizione del territorio, alla geografia. Non è una lingua universale ma qualcosa che si è sviluppato nazione per nazione, regione per regione. È una lingua che al posto dei fonemi utilizza i cheremi, parametri formazionali per comporre un segno, che siano la configurazione di una mano, un luogo del corpo dove questo segno articolato viene emesso, un verso, un orientamento che assume la mano per produrre un segno o anche la direzione. Tutte queste regole rendono questa lingua assolutamente autorevole.