martedì 10 maggio 2016

BANDI INFETTI. ALFONSO SABELLA E LA 'SUA CAPITALE’

Magistrato, ex assessore alla legalità del Comune di Roma. Alfono Sabella ha legato il suo nome all’Italia. A Palermo durante la lotta alla mafia, a Roma nel ciclone ‘Mafia Capitale’. Ha pubblicato un libro, ‘Capitale infetta’ in cui ripercorre il suo periodo Capitolino. Abbiamo avuto modo di incontrarlo qualche settimana fa quando ha visitato la struttura Anffas di via Maccari, bene confiscato alla mafia e restituito alla legalità. Lì abbiamo parlato di tutto, anche di quei bandi 'infetti' di cui parla in lungo e in largo nel suo libro.

Dottor Sabella, nel suo libro riserva un passaggio alla Legge Bassanini che secondo lei avrebbe ‘assoggettato’ la politica alla burocrazia. Qual è la sua ricetta per bloccare l’eccessiva discrezionalità della parte dirigenziale?

Quello della legge Bassanini è un terreno molto scivoloso. Con Mafia Capitale ci siamo trovati di fronte a una politica per lo più ‘buona’ e a una burocrazia per lo più incapace e ‘cattiva’. Potrebbe però verificarsi l’esatto opposto. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra la discrezionalità amministrativa e l’indirizzo politico. La peggior pecca della legge Bassanini è stata non capire che, pur nel post Tangentopoli, consegnare tutto alla burocrazia poteva essere rischioso. La politica però ha le sue colpe: aver scelto questa  burocrazia, aver selezionato questa classe dirigente. Va trovato un punto di equilibrio e va trovato principalmente all’interno della politica che deve essere preparata e responsabilizzata. La legge Bassanini va bene se accompagnata da una politica in grado di controllare l’amministrazione e verificare che le proprie linee di programma vengano poi realmente realizzate. Più che una riforma normativa serve una riforma degli uomini.

Si è sempre sostenuto che la mafia attecchisse dove non c'era lo Stato. Mafia Capitale ha stravolto questo dogma avendo attecchito all'interno degli apparati statali come il Campidoglio?

La mafia ha una capacità di adattamento incredibile. A Palermo ha attecchito dove lo Stato non c’era. Quando poi le istituzioni hanno iniziato a contrastare la criminalità, e mi riferisco al lavoro di Falcone, Borsellino e del pool, ha prima contrattaccato e poi, con Provenzano, ha ‘trattato’ con lo Stato. Ha capito che era più conveniente comprarsi interi pezzi delle istituzioni che non combatterle. Che era più economico dare una mazzetta che non acquistare un kalashnikov. Così è entrata nei palazzi di potere.

La magistratura ha le risorse normative per debellare questa nuova mafia?

La magistratura sì e lo si è visto con Mafia Capitale. Il problema è che non ce li ha la Pubblica Amministrazione. Non ci sono gli strumenti per contrastare la criminalità. La magistratura può entrare in gioco solo quando il problema è scoppiato. Quindi troppo tardi. Se io amministratore non ho per esempio la possibilità di cacciare un dirigente perché un giudice lo reintegrerà, si capisce bene che la PA non ha gli strumenti per contrastare la mafia e la corruzione. Bisogna rilanciare l’azione amministrativa.  

La rotazione dei dirigenti può essere ‘lo strumento’?

Può essere uno degli strumenti ma non la panacea di tutti i mali. Va però accompagnata da una grande formazione professionale. Se si sposta un dirigente dal sociale al verde questo dovrà avere competenze specifiche anche per il nuovo incarico, altrimenti ci troveremo di fronte a un dirigente impreparato. E l’impreparazione rischia di portare a errori o peggio ad aprire le porte alla corruzione per incapacità di controllo. Un dato però posso darlo: abbiamo notato che ogni volta che rotavamo i vigili da un territorio a un altro avevamo un aumento delle multe.

Mafia Capitale ha evidenziato un rapporto stretto tra mondo cooperativo e mondo criminale. Quali sono stati i motivi di questa commistione?

La delibera voluta dal sindaco Alemanno che destinava il 5 per cento del bilancio alle cooperative sociali - poi diventato 15 per cento - unito all’eliminazione dei controlli sotto una certa soglia ha fatto sì che il mondo criminale abbia utilizzato questa opzione per fare soldi. Non sono riuscito a portare in assemblea capitolina un regolamento sull’affidamento alle cooperative sociali con regole più stringenti. Serve una riforma del terzo settore per valorizzarlo con regole chiare e trasparenti.

Nel suo libro si scaglia contro il sistematico ricorso alla proroga…

Purtroppo fino a oggi, per utilizzare due termini forse non propriamente ‘oxfordiani’ ma che danno l’idea, le regole che normalmente hanno ispirato l’azione amministrativa di Roma Capitale sono state il ‘fancazzismo’ e ‘l’ad culum parandum’. I dirigenti in primis si sono preoccupati di avere meno problemi possibili. Ma il dirigente deve rischiare, portare risultati, altrimenti si trasforma in un semplice burocrate. A Roma ci sono proroghe che vanno avanti da 32 anni.

Sul suo libro ha dedicato un passaggio al famoso bando A.E.C. dal quale Anffas Ostia è stata estromessa e che il Tar ha giudicato viziato. Oggi ci sono nuove disposizioni del Tar, nuove proroghe. Che idea si è fatto?

Quando sono diventato assessore alle legalità avevo dato delle indicazioni molto precise sia all’allora assessore ai servizi sociali sia alla dirigente dell’epoca: annullare in autotutela la gara, fare una proroga del servizio precedente e lavorare a un nuovo bando, fatto decisamente meglio. Poi sono andato via. Non posso esprimermi su cose che non conosco. Le mie indicazioni era chiare.

Verde, spiagge e immigrazione. Il vero business però sono stati i servizi sociali. Si è detto ormai tutto oppure dobbiamo aspettarci ulteriori novità?

Mafia capitale è morta e sepolta sotto la scure della magistratura. Ma non tutte le criticità sono state risolte. La corruzione purtroppo rimane.

Il suo libro può essere uno strumento per risvegliare le coscienze?

Più del mio libro serve divulgare la cultura della legalità. Portare Caravaggio e Rubens a Ostia in maniera gratuita serviva proprio a portare la bellezza della cultura e la cultura della bellezza. C’è una statistica che ho letto: i paesi dove c’è più corruzione sono anche gli stessi paesi dove più si parcheggia in doppia fila. Evidentemente manca la cultura delle regole.

Inps, Inail, Equitalia: negli ultimi anni Anffas Ostia Onlus ha dovuto affrontare cause assurde che ha sempre vinto. Ha subìto 21 controlli in tre anni senza che mai fosse riscontrato nulla. Continua a combattere con i ritardi nei pagamenti che arrivano anche a 2 anni. Una Onlus come la nostra deve credere ancora nelle istituzioni?

Molto spesso lo Stato è patrigno: più uno rispetta le regole più su di lui piovono controlli. Bisogna però continuare a credere nella legge e nelle istituzioni. E se le istituzioni ‘cattive’ prendono il sopravvento, bisogna allora avere la forza e il coraggio di farle cambiare.

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