“Buongiorno
mi chiamo E.M. Mia figlia ha appena compiuto 18 anni e per lo Stato Italiano è
ormai un’invisibile. In Italia i disturbi di tipo autistico sono considerati
solo disturbi pervasivi dello sviluppo e quindi trattati esclusivamente dalla
neuropsichiatria infantile. Questo perché per lo Stato non hanno una malattia
mentale ma ‘solo’ una disabilità. Il sistema sanitario italiano ha un vuoto
normativo a questo proposito. Cosa si può fare per sensibilizzare il nostro
Parlamento?”. ( leggi l'articolo su Il Sole 24 Ore Sanità... clicca qui)
Email di questo tipo affollano quotidianamente e
costantemente le nostre caselle di posta elettronica e le pagine Facebook di
Anffas Ostia Onlus. In Italia il problema c’è, esiste e va affrontato. Quello
del compimento della maggiore età per le persone affette da disturbo dello
spettro autistico e per le loro famiglie è un vero e proprio passaggio alla
‘clandestinità’. Fino ai 18 anni il Tsmree delle varie Asl (Tutela Salute
Mentale in Età Evolutiva) garantisce anche grazie ad associazioni come Anffas
Ostia percorsi educativo-riabilitativo svolti da equipe multidisciplinare e da
operatori qualificati rivolti soprattutto a bambini e adolescenti in giovane
età che mirano a garantire loro una maggiore autonomia possibile. Con il
passaggio alla maggiore età iniziano i problemi, primo fra tutti comprendere
quale organismo pubblico debba farsi carico delle loro problematiche visto che
il Tsmree si occupa di ragazzi fino ai 18 anni.
“Il raggiungimento della maggiore
età - spiega Francesco Cesarino, direttore sanitario di Anffas Ostia Onlus -
può essere vissuto come un momento molto difficile per le famiglie con un
figlio affetto da disturbo dello spettro autistico. Il contenitore educativo e
sociale della scuola, infatti, tende via via a concludere la sua funzione e
sono scarsi i progetti sociali e sanitari che possano dare, in questa fascia di
età, un adeguato sostegno e una risposta concreta ai bisogni di sviluppo e di
benessere. Cosa offrono agli adulti con disturbo dello spettro autistico le
politiche sanitarie del nostro Servizio Sanitario Nazionale? Più ombre che
luci. I progetti educativi e riabilitativi, ad esempio, realizzati da psicologi
ed educatori con un adeguata formazione, hanno il vantaggio di poter favorire
lo sviluppo delle autonomie e delle capacità comunicative e relazionali
alleviando, al contempo e seppur parzialmente, la fatica delle famiglie. Uno
dei principali limiti di questo tipo di approccio, perlomeno di quello a carico
del Servizio Sanitario Nazionale, è la durata temporale del progetto e i
problemi di budget che limitano la continuità e l’accesso a questo tipo di
interventi. Per non parlare poi delle difficoltà che si profilano
angosciosamente all’orizzonte di quei genitori che, invecchiando, non sanno chi
materialmente si prenderà cura, dopo di loro, del proprio figlio ormai adulto
ma ancora con tanti bisogni di cura. Esistono chiaramente delle esperienze
virtuose, in termini di organizzazione dei servizi e di offerta di interventi
volti alla promozione del benessere, in aree del nostro paese storicamente
attente alle esigenze di chi soffre. Purtroppo, però, non queste esperienze non
sono la norma”.
LO STATO SE NE LAVA LE MANI
Lo Stato Italiano dunque se ne
dimentica lavandosi spesso le mani attraverso l’erogazione di un certificato di
invalidità al lavoro che se da una parte garantisce una pensione di base
dall’altra preclude qualsiasi possibilità di inserimento nel mondo del lavoro e
di inclusione sociale. Cosa significa? Le persone affette da disturbi pervasivi
dello sviluppo in età adulta, nella stragrande maggioranza dei casi non vanno a
scuola, non lavorano e sono orfani di sanità. Mancano i riferimenti sanitari:
non hanno più l’età per essere seguiti dai neuropsichiatri infantili e neppure
gli psichiatri possono fare molto perché la loro è una semplice disabilità.
Questo mette a rischio tutto il percorso fatto per esempio con progetti come
quello di Anffas Ostia. I ragazzi perdono quasi completamente l’autonomia
acquisita. I genitori diventano una sorta di reclusi in casa, dovendo badare ai
propri ragazzi con un carico assistenziale decisamente troppo elevato. Ho visto
personalmente case senza rubinetti, potrebbero aprirli e non essere in grado di
chiuderli, finestre senza maniglie, perché i ragazzi potrebbero affacciarsi e
farsi male. Per i genitori finiscono cene al ristorante, serate con gli amici,
vacanze, domeniche. Ogni giorno è uguale all’altro. E quando il figlio diventa
grande e i genitori invecchiano il problema diventa una montagna difficilmente
scalabile, subentrando anche l’angoscia di chi si occuperà e prenderà cura del
proprio figlio dopo che loro non ci saranno più o quando saranno troppo anziani
per prendersene cura.
“E pure - afferma Andrea
Fontana, psicologo terapeuta di Anffas Ostia Onlus - nella letteratura
scientifica emerge come le esigenze riabilitative e di cura delle persone
affette da disturbo dello spettro autistico non si esauriscano con il
raggiungimento della maggiore età. In particolare, la prima età adulta si
configura come una fase del ciclo di vita particolarmente delicata e complessa,
sia per le persone affette da disturbo dello spettro autistico sia per le
persone che non sono affette da questo tipo di difficoltà. Nell’ottica della
psicopatologia dello sviluppo, infatti, ogni fase del ciclo di vita si
caratterizza per specifici compiti evolutivi, ovvero obiettivi culturalmente e
biologicamente determinati con cui siamo chiamati a confrontarci. Basti pensare
a questo proposito al bisogno, proprio dell’adultità, di consolidare la propria
identità, di occupare un ruolo nella società attraverso le scelte vocazionali e
lavorative o al raggiungimento di una propria autonomia. Il fatto che una
persona sia affetta da disturbo dello spettro autistico non comporta che queste
necessità non siano cogenti. Né comporta che i bisogni di cura cessino con
l’arrivo della maggiore età. Davvero si può sostenere che l’autonomia non sia
importante anche per un ragazzo o una ragazza di vent’anni affetta da disturbo
dello spettro autistico? O si può davvero sostenere che un’attività
occupazionale, che permetta di entrare in contatto con gli altri in contesti
adulti sentendosi utili, non sia importante anche per i giovani adulti
autistici? Davvero possiamo pensare che l’isolamento sociale possa aiutare chi
già, per caratteristiche personali, tende ad isolarsi? E cosa dire delle
necessità dei familiari che, andando avanti con l’età, si trovano ad essere
l’unico riferimento in assenza di istituzioni sanitarie e sociali che offrano
opportunità e contesti adeguati di cura e crescita?”
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI
“La nostra
associazione – spiega il direttore generale di Anffas Ostia Onlus, Stefano
Galloni – ormai dal 2007 porta avanti un progetto innovativo di tipo
educativo-assistenziale su bambini affetti da autismo. I progressi sono
evidenti, soprattutto in termini di autonomia. Questi progressi però dopo i 18
anni cessano e vengono via via persi. Da sempre ci battiamo per una ‘presa in
carico globale’ della persona con disturbi affettivi e relazionali, che
significa avere la possibilità di seguire loro anche dopo il compimento dei 18
anni. Il nostro progetto è di tipo educativo, frutto del lavoro della
micro-equipe multidisciplinare, svolto da operatori qualificati e condiviso
dalla famiglia, ha come obiettivo la conservazione e il miglioramento delle
autonomie acquisite, non solo all'interno della propria abitazione ma anche
all'esterno. Purtroppo, per motivi di budget non riusciamo sempre ad inserire
tutti i ragazzi al compimento dei 18 anni, alcuni di loro devono attendere e
nel frattempo rimangono in casa senza nessun aiuto. Ma anche per coloro che
iniziano l'intervento educativo il progetto dura 90 giorni e gli accessi, in
pratica il numero delle prestazioni, varia da un minimo di 2 ad un massimo di 6
ore a settimana”.
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