Ha
il nome della dea della caccia, i capelli rossi e lo smalto permanente alle
unghie. Mentre parlo con i suoi genitori rimane tranquilla seduta in poltrona,
ascolta e in sottofondo dice qualcosa difficile da decodificare se si è
distratti e distanti. Quando si stanca di aspettare, però, la sua protesta
diventa comprensibile a tutti: “Voglio andare a casa”.
«Diana
è così – mi spiega la mamma -. Quando sono rimasta incinta avevo un fibroma di
15 centimetri che alla fine è andato in necrosi e Diana è nata a 7 mesi e
mezzo. Ha camminato a 23 mesi, come una bimba nata prematura, ha avuto le
convulsioni, motivo per cui l'abbiamo portata in un centro per far
psicomotricità. Ma non si riusciva a capire, perché nessuno conosceva
l'autismo: il suo veniva diagnosticato come disturbo dell'età evolutiva.
Comunque a due anni diceva tutte le paroline, poi, una mattina, ha smesso di
guardarmi e di parlare. Ho pensato fosse sorda o cieca. E ho cominciato a
girare, andando ovunque”.
È
stata in Toscana, in diversi centri, in ospedale, anche a Roma, finché ha
incontrato l'Anffas Ostia.
“Frequentiamo
l'Anffas da 18 anni per l'assistenza domiciliare. È ovvio che ci sono stati degli
intoppi, ci possono essere, ma poi si migliora insieme. Con loro le cose sono
molto cambiate. Loro vengono a casa nostra, tutti i giorni c'è qualcuno. Qui
abbiamo trovato delle persone meravigliose con le quali c'è continuità, un
elemento fondamentale per le persone come Diana».
Come
è la sua giornata?
«Va
in piscina due volte a settimana, poi durante la settimana vengono a casa delle
ragazze dell'Anffas, mentre il sabato e la domenica sta a casa con noi: allora
approfitta e si alza alle 12 tranquillamente. Se penso che fino ai 10 anni non
dormiva mai… Ora stiamo recuperando.
Questa estate ha fatto la sua prima vacanza ed è andata bene, è stata a Veroli!
E io, per la prima volta, sono andata in vacanza con mia nipote all'estero!
All'Anffas ha imparato a comunicare con un linguaggio simile a quello del Lis.
E da qualche tempo dice anche che è felice… E lo è quando andiamo a fare
attività con i contadini. Lei fa il supervisore, mentre gli altri fanno
attività con Serafino, l'asino: è una principessa!».
E
la scuola?
«La
scuola è sempre stato un problema: noi siamo a Dragona e i primi tre anni sono
stati un inferno. Poi pian piano la situazione è migliorata, soprattutto alle
scuole medie, dove i compagni le sono stati vicini. Poi è andata alle
superiori: il primo anno è andata bene, ma il problema è che i nostri ragazzi
non vengono integrati, non ci sono insegnanti preparati e spesso la scuola
approfitta dell'insegnante di sostegno che viene usata per tutta la classe. Io
sono la prima a dire che tutte le ore in classe Diana non può stare. Ma
sicuramente la scuola non aiuta: finché ce la faccio, me la vado a prendere
prima, quando non ce la farò più ci penserò. A volte è venuta a casa con gli
abiti strappati, perché quando si arrabbia reagisce così, ha preso le botte sul
pulmino: io so che tutto questo può capitare, ma almeno ditemelo: mi aspetto
più collaborazione”.
Cosa
avete imparato da Diana in questi anni?
“Ha
compiuto 20 anni a gennaio e quello che abbiamo imparato è che se li tratti da
disabili loro si sentono così. Lei non è mai stata trattata così: va dal
parrucchiere, va a farsi le unghie… va in piscina, va a fare le passeggiate.
abbiamo sempre cercato di spronarla per fare questo cammino che è lungo e
pesante».
Come
comunicate?
«Con
l'amore, ma per me è normale così. Non mi vergogno… in passato mi sono
vergognata… è stata una lotta pure nostra: sono 35 anni che io e mio marito
stiamo insieme!».
Quali
sono le sue passioni?
«Il
computer, la musica, i Negramaro, il cinema non tanto, ma si vede i cartoni. E
poi le piace andare a comprare i vestiti, andare dal parrucchiere, andare al
ristorante… I primi due anni dalla comparsa della malattia siamo stati chiusi
in casa, non veniva nessuno a trovarci, quando venivano estranei a casa, lei
poi dormiva nel letto con noi. Molti amici sono spariti, molti li abbiamo
allontanati noi. Ricordo un capodanno che ero stanca di stare a casa, uscimmo a
cenare. Il tavolo lo prendemmo lontano da tutti. Ora in quel ristorante
torniamo e il tavolino è al centro della sala!».
Come si gestisce il dopo?
«Non
si sa. Non abbiamo dei punti fissi dove andare a rivolgerci. Forse non c'è informazione: noi
avevamo pensato di trasformare la nostra casa in casa famiglia, in modo da
assicurarle un posto per il futuro, quando non ci saremo più, ma ci vogliono
tanti soldi, ci vuole l'ascensore, non ci sono progetti e non ci sono fondi…».
di Angela Iantosca
Direttore Responsabile 'Acqua&Sapone'
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