venerdì 2 marzo 2018

LA STORIA DELLA NOSTRA DIANA RACCONTATA DA 'A&S'


Ha il nome della dea della caccia, i capelli rossi e lo smalto permanente alle unghie. Mentre parlo con i suoi genitori rimane tranquilla seduta in poltrona, ascolta e in sottofondo dice qualcosa difficile da decodificare se si è distratti e distanti. Quando si stanca di aspettare, però, la sua protesta diventa comprensibile a tutti: “Voglio andare a casa”.

«Diana è così – mi spiega la mamma -. Quando sono rimasta incinta avevo un fibroma di 15 centimetri che alla fine è andato in necrosi e Diana è nata a 7 mesi e mezzo. Ha camminato a 23 mesi, come una bimba nata prematura, ha avuto le convulsioni, motivo per cui l'abbiamo portata in un centro per far psicomotricità. Ma non si riusciva a capire, perché nessuno conosceva l'autismo: il suo veniva diagnosticato come disturbo dell'età evolutiva. Comunque a due anni diceva tutte le paroline, poi, una mattina, ha smesso di guardarmi e di parlare. Ho pensato fosse sorda o cieca. E ho cominciato a girare, andando ovunque”.



È stata in Toscana, in diversi centri, in ospedale, anche a Roma, finché ha incontrato l'Anffas Ostia.

“Frequentiamo l'Anffas da 18 anni per l'assistenza domiciliare. È ovvio che ci sono stati degli intoppi, ci possono essere, ma poi si migliora insieme. Con loro le cose sono molto cambiate. Loro vengono a casa nostra, tutti i giorni c'è qualcuno. Qui abbiamo trovato delle persone meravigliose con le quali c'è continuità, un elemento fondamentale per le persone come Diana».

Come è la sua giornata?

«Va in piscina due volte a settimana, poi durante la settimana vengono a casa delle ragazze dell'Anffas, mentre il sabato e la domenica sta a casa con noi: allora approfitta e si alza alle 12 tranquillamente. Se penso che fino ai 10 anni non dormiva mai…  Ora stiamo recuperando. Questa estate ha fatto la sua prima vacanza ed è andata bene, è stata a Veroli! E io, per la prima volta, sono andata in vacanza con mia nipote all'estero! All'Anffas ha imparato a comunicare con un linguaggio simile a quello del Lis. E da qualche tempo dice anche che è felice… E lo è quando andiamo a fare attività con i contadini. Lei fa il supervisore, mentre gli altri fanno attività con Serafino, l'asino: è una principessa!».

E la scuola?

«La scuola è sempre stato un problema: noi siamo a Dragona e i primi tre anni sono stati un inferno. Poi pian piano la situazione è migliorata, soprattutto alle scuole medie, dove i compagni le sono stati vicini. Poi è andata alle superiori: il primo anno è andata bene, ma il problema è che i nostri ragazzi non vengono integrati, non ci sono insegnanti preparati e spesso la scuola approfitta dell'insegnante di sostegno che viene usata per tutta la classe. Io sono la prima a dire che tutte le ore in classe Diana non può stare. Ma sicuramente la scuola non aiuta: finché ce la faccio, me la vado a prendere prima, quando non ce la farò più ci penserò. A volte è venuta a casa con gli abiti strappati, perché quando si arrabbia reagisce così, ha preso le botte sul pulmino: io so che tutto questo può capitare, ma almeno ditemelo: mi aspetto più collaborazione”.

Cosa avete imparato da Diana in questi anni?

“Ha compiuto 20 anni a gennaio e quello che abbiamo imparato è che se li tratti da disabili loro si sentono così. Lei non è mai stata trattata così: va dal parrucchiere, va a farsi le unghie… va in piscina, va a fare le passeggiate. abbiamo sempre cercato di spronarla per fare questo cammino che è lungo e pesante».

Come comunicate?

«Con l'amore, ma per me è normale così. Non mi vergogno… in passato mi sono vergognata… è stata una lotta pure nostra: sono 35 anni che io e mio marito stiamo insieme!».

Quali sono le sue passioni?

«Il computer, la musica, i Negramaro, il cinema non tanto, ma si vede i cartoni. E poi le piace andare a comprare i vestiti, andare dal parrucchiere, andare al ristorante… I primi due anni dalla comparsa della malattia siamo stati chiusi in casa, non veniva nessuno a trovarci, quando venivano estranei a casa, lei poi dormiva nel letto con noi. Molti amici sono spariti, molti li abbiamo allontanati noi. Ricordo un capodanno che ero stanca di stare a casa, uscimmo a cenare. Il tavolo lo prendemmo lontano da tutti. Ora in quel ristorante torniamo e il tavolino è al centro della sala!».

Come si gestisce il dopo?

«Non si sa. Non abbiamo dei punti fissi dove andare a rivolgerci. Forse non c'è informazione: noi avevamo pensato di trasformare la nostra casa in casa famiglia, in modo da assicurarle un posto per il futuro, quando non ci saremo più, ma ci vogliono tanti soldi, ci vuole l'ascensore, non ci sono progetti e non ci sono fondi…».

di Angela Iantosca
Direttore Responsabile 'Acqua&Sapone'


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